Stile classico e lineare, ma povero di vere emozioni, caratterizzano il secondo lungometraggio di Angelina Jolie.
Basato sull’incredibile storia vera di Louis Zamperini, figlio di immigrati italiani, campione olimpico ed eroe di guerra italo-americano, il film racconta, con la tecnica del flashback, il passato da ribelle di Louis e la sua corsa alle olimpiadi del 1946 a Berlino, intrecciandosi successivamente con la storia principale: l’incidente aereo, il naufragio in mare durato 48 giorni ed infine la prigionia in Giappone.
La regia di Angelina Jolie fa coesistere nella prima parte della pellicola il passato ed il presente del protagonista ai tempi della II Guerra Mondiale, seguendo uno stile classico ed alquanto pulito, sebbene sofferente, alla lunga, di difetti classici di una certa tradizione di eccessi di lunghezza e di buonismi patinati che evidentemente la quasi esordiente Jolie non ha saputo sostituire con una sua impronta propria, quella di chi ha un mestiere o un’idea orginale.
Di grande impatto il lavoro del direttore della fotografia (Roger Deakins, candidato all’Oscar), che produce immagini capaci di far toccare con mano l’orrore della guerra e della tortura, ma anche di emozionare lo spettatore con il loro forte impatto visivo. Qualcosa, però, non permette di impersonificarsi con il protagonista e di soffrire con lui: una mancanza che non può attribuirsi alla splendida interpretazione di Jack O’Connell, bensì all’impostazione stessa del personaggio, “inspezzabile” nel corpo quanto nello spirito, dotato di una volontà personale che mai vacilla, quasi disumana per un uomo sottoposto a tante nefandezze, e mosso non solo dall'istinto di sopravvivenza (per il quale probabilmente avrebbe anche accettato i compromessi offerti dall'ambiente radiofonico giapponese) ma anche da un patriottismo ammirabile, si, ma anche masochistico, date le circostanze della prigionia.
Finché paradossalmente, ciò che più colpisce nella pellicola sono le poche righe ed i fotogrammi “fuori” dalla regia, in cui si racconta una storia ancor più interessante, e forse perfino l’unica che ti fa entrare nel personaggio, ovvero il prosieguo della vita di quest’uomo, lo stress post-traumatico ed il perdono dei suoi carcerieri, con lo splendido spezzone di lui che corre, ormai ottantenne, a Tokyo con la fiaccola olimpica saldamente in mano.